PopUnder e Programmatic: ecco perché molti siti rinomati performano male!
Diversi amici che operano in trading desk mi hanno raccontato dello stupore, durante i loro primi periodi di sperimentazione/formazione, nel vedere importanti siti – rinomati e rispettati sul fronte reservation tradizionale – performare molto male sul fronte Programmatic.
Stesso stupore di molti editori che non capiscono come mai, via via che i budget si spostano dal tradizionale al nuovo mercato, la loro importanza venga via via ridimensionata.
Dunque, perché i siti rinomati troppo spesso performano male in Programmatic?
Pianificazione per Ranking
Una delle motivazioni principali risiede nella differenza di criteri utilizzati per la scelta del sito.
La pianificazione umana è fortemente time-consuming, ogni singola sito in pianificazione richiede decine di passaggi umani e tecnici, sia sul fronte della preparazione del piano, approvazione, reportistica, setup creativo e tecnico, verifica amministrativa e contabile.
Ogni singola riga nel file excel del piano è per le agenzie un costo, costo sostenuto dall’intera industry.
Pensate alla naturale frammentazione dell’offerta di Internet, alla tendenza tecnologica al monitoraggio di più fattori, alla necessità di dover promettere di più per spostare lo stesso budget da altri media.
Si stima che il 22% dell’investimento internet sia “bruciato” in costi sostenuti dalla filiera (domanda-offerta) per le attività di pianificazione, contro il 5% della televisione.
Da qui nasce la tradizionale pianificazione per ranking, andando a confinare il piano nei siti con numeri maggiori, al fine di raggiungere il più ampio numero di utenti con il minor numero di editori possibile.
La pianificazione per ranking è quindi la risposta – inizialmente logica e salutare – elaborata dal giovane mercato del digital per una pianificazione premium efficace.
Col tempo, la risposta sana è diventata via via patologica.
PopUnder e traffico gonfiato
Capisci bene che per un editore essere nei primi 3, 5, 7 posti della propria categoria merceologica fa una grande differenza nella potenziale raccolta.
Nasce quindi la pratica, purtroppo comunissima, di acquistare grandi quantitativi di traffico per migliorare il proprio ranking e acquisire maggiore rilevanza.
L’acquisto avviene in Italia principalmente con pop-under, in modo che il traffico sia di matrice umana e tendenzialmente capace di passare i controlli dei sistemi di monitoraggio e ranking. La pratica in sé è legittima e viene ufficialmente venduta come un modo per “estendere la community” dell’editore.
Siamo seri: che fidelizzazione volete da un utente di site-under che nemmeno guarda il vostro sito? Diciamo le cose come stanno: è un sistema per truccare il ranking.
Ogni tanto qualcuno fa finta di scandalizzarsi, come in questo caso:
“Il Corriere ha gonfiato il proprio traffico”
ma tale pratica è talmente comune nei siti che vivono di reservation tradizionale da essere considerata bipartisan.
Non è mia intenzione accusare o giudicare nessuno, comprendo benissimo che molti editori sono “costretti” a seguire questa pratica per non arretrare rispetto ai competitor o per “ribilanciare” i bassi prezzi che ottengono da un mercato scarsamente incline a pagare la qualità o per mille altri motivi.
La Pianificazione in Programmatic: le bugie hanno le gambe corte
Sia chiaro: un buon pianificatore esperto “tradizionale” è perfettamente in grado di accorgersi del traffico acquistato senza bisogno di chissà quali tools.
Il punto è che le logiche di pianificazioni in programmatic sono differenti dalla reservation tradizionale, in genere molto più sofisticate, orientate a metriche più complesse e misurabili.
Quindi non si scappa, il traffico da site-under è una iattura per le campagne programmatic che non è possibile ignorare.
Caro amico del trading desk, tu passi la giornata a ottimizzare frequenze, ricercare pool di cookies, ottimizzare campagne che, per buona parte del traffico dei siti “premium” che la veicolano, non viene mai vista dall’utente!
Non so a te, ma a me darebbe molto fastidio.
Il Dilemma dell’Editore e il Conflitto di Interessi della Concessionaria
L’editore si trova dunque scisso di fronte a due possibilità:
- da un lato la concessionaria “premium” avalla o persino suggerisce l’acquisto di traffico, al fine di aumentare ranking, rilevanza e guadagni.
- dall’altro lato, il responsabile di monetizzazione programmatic spinge verso un traffico più pulito, per evitare di essere eliminati dai piani ed esclusi dal mercato.
Il grosso dell’offerta programmatic italiana è composto da concessionarie tradizionali che hanno attivato dei reparti programmatic interni.
Secondo te, chi vince?
Ribaltiamo il tavolo: Programmatic First, Programmatic Only
Tu che compri in Programmatic necessiti sempre più di offerta maggiormente qualitativa, trasparente e funzionale.
Ne va del tuo lavoro, della tua credibilità con il cliente, della sostenibilità della tua agenzia.
Basta con questi retaggi medievali di un mondo che non esiste più, di queste furbizie da italietta.
E’ ora di scelte pienamente qualitative e consapevoli.
MediaMatic è infatti una realtà Programmatic Only. Siamo liberi e indipendenti di scegliere gli editori qualitativi senza conflitti di interessi.
Siamo liberi di accompagnarli verso una strada di crescita e qualità, di cui tu hai bisogno.
Il Prezzo: non prendiamoci in giro
Su una cosa gli editori hanno però pienamente ragione:
Chi pretende di comprare qualità al prezzo che prima impiegava per gli scarti sta solo chiedendo di essere preso in giro. Se costa poco, vale poco.
Non è strozzando il cpm agli editori che si alimenta un mercato di qualità.
Non ti fare prendere in giro, accettando prezzi bassi.
Quando tratti con realtà qualitative, il prezzo trattalo… al rialzo!